Discussione:
per insegnanti di greco
(troppo vecchio per rispondere)
blopper
2006-09-17 15:52:15 UTC
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mi sapreste spiegare perché non si fanno pronunciare 'e' i digrammi 'ai' e
'oi'?
almeno, ai miei tempi era così
es: diaitia invece di dietia, paidos invece di pedos, oicos invece di ecos
ecc.
grazie
Blopper
Enrico Olivetti
2006-09-17 16:08:13 UTC
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Post by blopper
mi sapreste spiegare perché non si fanno pronunciare 'e' i digrammi 'ai' e
'oi'?
almeno, ai miei tempi era così
es: diaitia invece di dietia, paidos invece di pedos, oicos invece di ecos
ecc.
La pronuncia del greco in uso nelle scuole italiane e nella maggior parte
delle scuole d'Europa è detta pronunzia erasmiana, da Erasmo da Rotterdam
(1466-1536) che scrisse sulla corretta pronunzia del greco e del latino il De
recta Latini Graecique sermonis pronuntiatione (1528).

Tale pronuncia non corrisponde alla reale pronuncia del greco antico, ma l'uso
scolastico si è affermato in questo modo.
blopper
2006-09-17 16:17:19 UTC
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scusa, ma mi sono spiegato male

volevo chiedere:
perché diavolo si usa ancora la pronuncia ecc. ecc. invece di darsi una
svecchiata?

spero che ora sia piu' chiaro
grazie comunque per l'intervento
Post by Enrico Olivetti
La pronuncia del greco in uso nelle scuole italiane e nella maggior parte
delle scuole d'Europa è detta pronunzia erasmiana, da Erasmo da Rotterdam
(1466-1536) che scrisse sulla corretta pronunzia del greco e del latino il De
recta Latini Graecique sermonis pronuntiatione (1528).
Tale pronuncia non corrisponde alla reale pronuncia del greco antico, ma l'uso
scolastico si è affermato in questo modo.
Enrico Olivetti
2006-09-17 16:41:00 UTC
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Post by blopper
scusa, ma mi sono spiegato male
perché diavolo si usa ancora la pronuncia ecc. ecc. invece di darsi una
svecchiata?
questo non lo so. Posso azzardare solo delle ipotesi.
1) Tradizione. Tutte le scuole europee (eccetto quella greca) hanno adottato da
secoli questa pronuncia; cambiarla oggi creerebbe sicuramente problemi di ordine
pratico (cambio dei testi, tanto per dirne uno).
2) Incertezza. Non c'è accordo tra gli studiosi su quale fosse veramente la
pronuncia greca classica, né su quale pronuncia (ionica, dorica, epirota, ecc.)
basarsi. Meglio lasciare le cose come stanno piuttosto di avere una pronuncia
ufficiale differente per ogni nazione della UE. (Già non riescono a mettersi
d'accordo su un solo formato di prese elettriche, figuriamoci per un argomento
più controverso).
Enrico Olivetti
2006-09-17 16:44:48 UTC
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Post by blopper
perché diavolo si usa ancora la pronuncia ecc. ecc. invece di darsi una
svecchiata?
Aggiungo ancora un'osservazione. Mentre il latino classico non aveva
praticamente dialetti e copre un arco di tempo abbastanza ristretto (circa 4
secoli), la letteratura greca antica è scritta in vari dialetti e si estende su
di un arco di 10 secoli. Immagina quante pronunce e varianti diverse! Allora per
adottarne una sbagliata, tanto vale tenersi questa (quella erasmica).
blopper
2006-09-18 11:06:43 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Aggiungo ancora un'osservazione. Mentre il latino classico non aveva
praticamente dialetti e copre un arco di tempo abbastanza ristretto
(circa 4 secoli), la letteratura greca antica è scritta in vari
dialetti e si estende su di un arco di 10 secoli. Immagina quante
pronunce e varianti diverse! Allora per adottarne una sbagliata,
tanto vale tenersi questa (quella erasmica).
io invece direi che una cosa saggia sarebbe questa:

visto che non riusciamo a mettetterci d'accordo tra linguisti (vedi post
precedente), perché almeno non adottiamo qui da noi una pronuncia più
sensata?
ad esempio, sappiamo che da 'oicos' derivano le parole con il suffisso
'eco-' : tanto vale che pronunciamo direttamente 'ecos', così facciamo un
po' meno casino nelle teste dei nostri alunni

se poi pensiamo che ad Erasmo non piacevano i 'peoci', mi sembra una ragione
sufficiente per non prendere necessariamente per oro colato le sue opinioni

quanto al cambio dei testi (vedi sempre il post prededente), il problema non
si pone, visto che li cambiano comunque ogni anno (magari modificando solo
la disposizione delle pagine), a scapito delle finanze delle famiglie

grazie per il contributo alla discussione
Armin
Ered Luin
2006-09-18 21:04:01 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Post by blopper
perché diavolo si usa ancora la pronuncia ecc. ecc. invece di darsi una
svecchiata?
Aggiungo ancora un'osservazione. Mentre il latino classico non aveva
praticamente dialetti
Mi sembra un'affermazione ardita.
A meno non ti volessi riferire strettamente alla lingua utilizzata nel sermo
scritto e colto.

E.L.
Enrico Olivetti
2006-09-18 21:12:47 UTC
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Post by Ered Luin
Mi sembra un'affermazione ardita.
A meno non ti volessi riferire strettamente alla lingua utilizzata nel sermo
scritto e colto.
Secondo te quale latino si studia a scuola?
Ered Luin
2006-09-18 22:03:57 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Post by Ered Luin
Mi sembra un'affermazione ardita.
A meno non ti volessi riferire strettamente alla lingua utilizzata nel sermo
scritto e colto.
Secondo te quale latino si studia a scuola?
Io ho studiato anche Plauto e Petronio.
Per il resto è ovvio e banale osservare che il latino aveva i dialetti come
tutte le lingue del mondo, e forti.
Che l'azione di una grammatica già erede dell'esperienza greca (quindi nta
"già matura") e un forte agente centralizzatore a più livelli come la
capitale abbiano mantenuto un certo standard nello *scritto* *colto*, è un
altro discorso.
E ciononostante sai meglio di me come anche per il latino, ben lungi da una
pronuncia unica e tanto meno "corretta", le pronunce scolastiche del latino
sono tante quante le singole nazioni d'europa ("Sesàr" in francese, "Zizero"
in tedesco, qualcuno in Gran Bretagna che si sforza ogni tanto di
pronunciare correttamente "cosul" e non "consul" e così via).

E.L.
Enrico Olivetti
2006-09-19 03:33:26 UTC
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Post by Ered Luin
Io ho studiato anche Plauto e Petronio.
Per il resto è ovvio e banale osservare che il latino aveva i dialetti come
tutte le lingue del mondo, e forti.
Il latino in quanto tale non aveva dialetti, era la lingua di una ristretta
parte del Lazio e come tale non era differenziato in dialetti locali.
Certo che il latino parlato dai Celti sarà stato diverso da quello dei Romani,
ma è come l'inglese che parlo io, che è molto differente da quello di Oxford,
non per per questo può essere classificato come un dialetto dell'inglese.
In ogni caso la produzione letteraria che ci è giunta è aabbastanza omogenea.
Virgilio, mantovano non scriveva in una lingua diversa di quella di Cicerone.
È probabile che nelle discussioni circensi che si svolgevano al thermopolium si
parlasse diverso è probabile, ma nulla ci è giunto.
Post by Ered Luin
E ciononostante sai meglio di me come anche per il latino, ben lungi da una
pronuncia unica e tanto meno "corretta", le pronunce scolastiche del latino
sono tante quante le singole nazioni d'europa ("Sesàr" in francese, "Zizero"
in tedesco, qualcuno in Gran Bretagna che si sforza ogni tanto di
pronunciare correttamente "cosul" e non "consul" e così via).
Il mio discorso era per dire che, mentre per il latino si potrebbe arrivare a
una unificazione della pronuncia abbastanza condivisa, per il greco è un lavoro
impossibile. Paradossalmente la pronuncia del greco, nei vari sistemi scolastici
europei, è più uniforme di quella del latino.
Cingar
2006-09-19 09:52:15 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Post by Ered Luin
Io ho studiato anche Plauto e Petronio.
Per il resto è ovvio e banale osservare che il latino aveva i dialetti come
tutte le lingue del mondo, e forti.
Il latino in quanto tale non aveva dialetti, era la lingua di una ristretta
parte del Lazio e come tale non era differenziato in dialetti locali.
Questo sarà stato vero ai tempi di Numa Pompilio... Però quella
lingua là si chiama "latino arcaico" ed è diversissima dal latino
classico che si studia a scuola (Esempio: "Ast ednois iopetoi tesiai
pakari uois...").

Ai tempi dell'impero, il latino si parlava su un'area enorme che andava
dalla Gran Bretagna all'Arabia e dal Portogallo alla Romania, e le
divisioni dialettali ovviamente c'erano eccome.

Questa dialettizzazione non doveva comunque causare seri problemi di
comprensione, prima dellla dissoluzione dell'Impero, se ancora nel IV
secolo il punico sant'Agostino (nato a Ippona, odierna Tunisia) poteva
tranquillamente venirsene a Milano a chiacchierare di filosofia con il
gallo sant'Ambrogio (nato a Treviri, odierna Germania), senza che nella
sua autobiografia si accenni mai al benché minimo problema di lingua.
Post by Enrico Olivetti
Certo che il latino parlato dai Celti sarà stato diverso da quello dei Romani,
ma è come l'inglese che parlo io, che è molto differente da quello di Oxford,
non per per questo può essere classificato come un dialetto dell'inglese.
Dipende da cosa intendi per "dialetto", un termine con talmente tante
accezioni contrastanti da essere diventato quasi inutilizzabile.
Post by Enrico Olivetti
In ogni caso la produzione letteraria che ci è giunta è aabbastanza omogenea.
Virgilio, mantovano non scriveva in una lingua diversa di quella di Cicerone.
È probabile che nelle discussioni circensi che si svolgevano al thermopolium si
parlasse diverso è probabile, ma nulla ci è giunto.
Il problema non è la grammatica né il lessico ma la pronuncia, che
ovviamente non possiamo conoscere nei dettagli perché ai tempi di
Cicerone non esistevano i registratori.

Attualmente nelle scuole italiane (e credo anche nei paesi di lingua
spagnola e inglese) si usa la cosiddetta pronuncia ecclesiastica, che
è una pronuncia artificiale e convenzionale basata sulla lettura
all'italiana della grafia latina. Per intenderci, in questa pronuncia
"Iulius Caesar" si dice "iùlius cèsar".

In altri paesi (Francia e Germania, per esempio) si usa invece la
cosiddetta pronuncia ricostruita, elaborata nei secoli XIX e XX dai
comparatisti nel tentativo di ricostruire la pronuncia dell'epoca di
Cicerone. In questa pronuncia "Iulius Caesar" si dice "iùùlius
càissar".

Ci sarebbe anche altre pronunce, che però difficilmente potrebbero
candidarsi come pronuncia scolastica. Per esempio, esistono
ricostruzioni della pronuncia del tardo Impero, cioè della più
recente pronuncia naturale "unitaria" del latino prima del suo
spezzettamento nelle lingue romanze. In questa, "Iulius Caesar" si
direbbe circa "giùglios cièssar".
Post by Enrico Olivetti
Post by Ered Luin
E ciononostante sai meglio di me come anche per il latino, ben lungi da una
pronuncia unica e tanto meno "corretta", le pronunce scolastiche del latino
sono tante quante le singole nazioni d'europa ("Sesàr" in francese, "Zizero"
in tedesco, qualcuno in Gran Bretagna che si sforza ogni tanto di
pronunciare correttamente "cosul" e non "consul" e così via).
Il mio discorso era per dire che, mentre per il latino si potrebbe arrivare a
una unificazione della pronuncia abbastanza condivisa, per il greco è un lavoro
impossibile. Paradossalmente la pronuncia del greco, nei vari sistemi scolastici
europei, è più uniforme di quella del latino.
A me non pare che per il greco la situazione non sia poi molto più
complicata che per il latino. Le possibili pronunce scolastiche mi
paiono tre:

1) Pronuncia arcaica come ricostruita dai linguisti, nella quale per
esempio "phókaina" si legge "pHóócaina". È la più fedele alla
pronuncia antica e ha diversi vantaggi, last but not least quello di
semplificare la comprensione e la memorizzazione della grafia.

2) Pronuncia erasmiana, nella quale "phókaina" si leggere
"fóócaina". È sostanzialmente identica alla precedente con qualche
concessione alla pronuncia moderna per le tre occlusive aspirate <th>,
<kh>, <ph>.

3) Pronuncia bizantina/moderna, nella quale "phókaina" si legge
"fòcjena". Ha il solo vantaggio di essere riutilizzabile nelle vacanze
in Grecia (anche se m'immagino le risate di un cameriere greco che
riceva un'ordinazione nella lingua di Omero, sia pure pronunciata alla
moderna).

Non ho capito bene quale di queste pronunce caldeggi Blopper, ma ho
l'impressione che ne abbia in mente una quarta, perché ha parlato del
dittongo <oi> pronunciato [e]: una pronuncia che non è mai esistita in
nessuna fase della storia del greco. <oi> anticamente si pronunciava
[oi] (e così si pronuncia nella pronunce ricostruita ed erasmiana),
mentre in greco moderno si legge [i].

L'evoluzione che ha portato da [oi] (scritto <oe> in latino) allo [e]
che si trova nella pronuncia italiana di grecismi come "ecologia" o
"enologia" è completamente estranea al greco.

--
Cingar
Giovanni Drogo
2006-09-19 10:20:12 UTC
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Post by Cingar
Ai tempi dell'impero, il latino si parlava su un'area enorme che andava
dalla Gran Bretagna all'Arabia e dal Portogallo alla Romania, e le
divisioni dialettali ovviamente c'erano eccome.
il che non mi pare troppo diverso dal fatto che l'inglese sia parlato,
oltre che in UK, da discendenti di anglofoni negli USA, in Canada, in
Australia e Nuova Zelanda, nonche' in molti altri paesi da "nativi" come
seconda o prima lingua ufficiale.
Post by Cingar
Post by Enrico Olivetti
Certo che il latino parlato dai Celti sarà stato diverso da quello
dei Romani, ma è come l'inglese che parlo io, che è molto differente
da quello di Oxford, non per per questo può essere classificato come
un dialetto dell'inglese.
Se si tratta di una variante "personale" di un non-madrelingua che ne fa
un uso saltuario no. Se fosse l'indiano o il sudafricano (oltre che
l'americano, il canadese, l'australiano) probabilmente si'. Se esistesse
una variante standard definita di "inglese con accento italiano",
"inglese con accento spagnolo", o che so "inglese con accento estone"
forse ...
Post by Cingar
Dipende da cosa intendi per "dialetto", un termine con talmente tante
accezioni contrastanti da essere diventato quasi inutilizzabile.
Purtroppo ... ma si potrebbe convergere su una definizione di una
"variante" di una data lingua, che esista in forma codificata o meno
(tanto per dire, i vernacoli toscani sono "dialetti" dell'italiano, le
varianti del lombardo sono "dialetti" di un ipotetica lingua lombarda /
o di due, un lombardo occidentale e uno orientale). Variante che non
preclude l'inter-comprensione, e che non altera sostanzialmente la
struttura grammaticale.

Su rec.travel.europe c'era stata un po' di tempo fa una discussione
sulle varianti dell'inglese interne agli USA ... io userei il termine di
dialetti in un caso del genere.

Un po' come le sottospecie in biologia, o le razze canine, o i cultivar
vegetali.

A un certo momento poi, come capita che nascano due specie diverse (non
piu' interfertili) i dialetti potrebbero separarsi in lingue (non essere
piu' intercomprensibili).

Devo dire che questo meccanismo mi ha sempre affascinato pur non
comprendendolo. Cio' che non capisco e' perche' a un certo punto
qualcuno (una singola persona, l'equivalente della mutazione di un
singolo locus su un cromosoma) debba decidere di variare una pronuncia o
un uso in modo spontaneo (capisco le variazioni dovute agli influssi di
una altra lingua - fenomeno tipicamente a-biologico) e tale variazione
venga adottata da altri individui. E come mai tale fenomeno abbia delle
regolarita' intrinsiche.
--
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Cingar
2006-09-19 12:00:56 UTC
Permalink
Post by Giovanni Drogo
[...]
Purtroppo ... ma si potrebbe convergere su una definizione di una
"variante" di una data lingua, che esista in forma codificata o meno
(tanto per dire, i vernacoli toscani sono "dialetti" dell'italiano, le
varianti del lombardo sono "dialetti" di un ipotetica lingua lombarda /
o di due, un lombardo occidentale e uno orientale). Variante che non
preclude l'inter-comprensione, e che non altera sostanzialmente la
struttura grammaticale.
A me quest'idea dell'intercomprensione non ha mai convinto molto.

Può avere una certa utilità empirica per un antropologo che deve
raccapezzarsi nell'incredibile varietà linguistica dell'Amazzonia o della
Nuova Caledonia ma, applicata alla situazione linguistica delle aree dove
esistono o sono esistiti grandi entità imperiali, il concetto è privo di
senso.

Per esempio, escludendo forse il rumeno, tutte le lingue neolatine dalla
Galizia alla Puglia sono perfettamente intercomprensibili con un minimo di
impegno: dovremmo dunque dire che francese, italiano, spagnolo, ecc. sono
tutti "dialetti" di un ipotetica lingua detta "romanzo"?

Certo, linguisticamente potrebbe avrebbe senso, ma la maggior parte della
gente troverebbe quest'uso della parola "dialetto" quanto meno un po'
bizzarro.
Post by Giovanni Drogo
[....]
Devo dire che questo meccanismo mi ha sempre affascinato pur non
comprendendolo.
Nessuno lo comprende al 100%, perché la deriva linguistica avviene troppo
lentamente per poterne avere un'esperienza diretta significativa.
Post by Giovanni Drogo
Cio' che non capisco e' perche' a un certo punto
qualcuno (una singola persona, l'equivalente della mutazione di un
singolo locus su un cromosoma) debba decidere di variare una pronuncia o
un uso in modo spontaneo (capisco le variazioni dovute agli influssi di
una altra lingua - fenomeno tipicamente a-biologico) e tale variazione
venga adottata da altri individui.
E come mai tale fenomeno abbia delle regolarita' intrinsiche.
Be', sarai stato anche tu adolescente, no? Anche tu, come tutti, avrai un
po' scimmiottato un po' acriticamente il "trasgressivissimo" modo di parlare
del più "fico" del branco, del Fonzie della situazione. Oppure, al massimo,
il più fico sarai stato tu, o sarai stato il tipo del "ribelle" che di
proposito fa tutto il contrario di Fonzie -- e che in realtà, in genere,
aspira a diventare lui il Fonzie, o almeno il suo vice.

È il famoso "linguaggio dei giovani", di cui puntualmente ogni anno si
stupiscono i rotocalchi tipo Panorama o Espresso, sentendo l'irrefrenabile
bisogno di intervistare gergologi e brufolologi, i quali sciorinano una
serie di banalità sempre uguali da generazioni...

Poi, ogni volta che una generazione di adolescenti arriva all'età adulta, il
"branco" si scioglie, il mitico Fonzie diventa un alcolizzato calvo schivato
da tutti, e tutti gli altri mettono su famiglia e fanno figli sul cui
linguaggio, di lì a pochi anni, i soliti rotocalchi intervisteranno i soliti
esperti.

Ebbene, ogni volta che si completa uno di questi giri di valzer, gli ex
adolescenti credono di abbandonare le loro trasgresioni linguistiche ma,
involontariamente, si portano dietro nell'età adulta qualche innovazioni
(solitamente lessicali, ma spesso anche grammaticali o fonetiche) inventate
dal loro vecchio amico Fonzie, e la trasmettono ai loro figli.

--
Cingar


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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
Maurizio Pistone
2006-09-19 20:15:42 UTC
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Post by Cingar
tutte le lingue neolatine dalla
Galizia alla Puglia sono perfettamente intercomprensibili
anni fa ho assistito ad una lunga conversazione tra due anziani che
parlavano il dialetto di Coazze (circa 40 km. da Torino) e non ci ho
capito una mazza.

L'intercomprensione è un fatto acquisito: se siamo abituati da tempo ad
ascoltare una certa lingua appartenente al nostro stesso ceppo,
riusciamo a capire un certo numero di parole, e forse a seguire il senso
generale del discorso; ma la prima volta che sentiamo parlare un
Portoghese, è peggio di un Valdostano - e ho detto tutto.
--
Maurizio Pistone - Torino
strenua nos exercet inertia Hor.
http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
Karla
2006-09-19 22:04:28 UTC
Permalink
Post by Cingar
Per esempio, escludendo forse il rumeno, tutte le lingue neolatine dalla
Galizia alla Puglia sono perfettamente intercomprensibili con un minimo di
impegno: dovremmo dunque dire che francese, italiano, spagnolo, ecc. sono
tutti "dialetti" di un ipotetica lingua detta "romanzo"?
Certo, linguisticamente potrebbe avrebbe senso, ma la maggior parte della
gente troverebbe quest'uso della parola "dialetto" quanto meno un po'
bizzarro.
Bisognerebbe chiarire bene che cosa si intende per dialetto e lingua.

Secondo alcuni autori (Alinei, Childe) la differenza non sarebbe
linguistica ma sociopolitica, in quanto la presenza di dialetti, che
richiama l'esistenza di una lingua dominante, rifletterebbe la
stratificazione sociale all'interno di un territorio nazionale.

Childe sostiene che ci sia stato un rapporto di causa-effetto, tra la
nascita dell'alfabeto e delle lingue scritte, e le esigenze dei nuovi
ceti dominanti di registrare i loro privilegi in modo pubblico. Si
sarebbe così originato un nuovo tipo di società stratificata, e si
sarebbero poste le basi per una cultura elitaria separata da quella dei
produttori e degli artigiani.
La separazione lingua - dialetto risalirebbe all'età dei metalli, con la
formazione di questo tipo di società.
Nel Paleolitico, mesolitico e Neolitico le società erano, sempre secondo
C., egualitarie, quindi non ci sarebbe stata una differenziazione
lingua-dialetti, ma solo variazione geolinguistiche territoriali.

I più antichi documenti, che sono "lingua", sono scritti quindi elitari,
e questo presupporrebbe l'esistenza di dialetti anche se non ne abbiamo
documentazione.

Che cosa ne pensate?

k
Cingar
2006-09-19 23:15:27 UTC
Permalink
Post by Karla
Post by Cingar
Per esempio, escludendo forse il rumeno, tutte le lingue neolatine dalla
Galizia alla Puglia sono perfettamente intercomprensibili con un minimo di
impegno: dovremmo dunque dire che francese, italiano, spagnolo, ecc. sono
tutti "dialetti" di un ipotetica lingua detta "romanzo"?
Certo, linguisticamente potrebbe avrebbe senso, ma la maggior parte della
gente troverebbe quest'uso della parola "dialetto" quanto meno un po'
bizzarro.
Bisognerebbe chiarire bene che cosa si intende per dialetto e lingua.
Secondo alcuni autori (Alinei, Childe) la differenza non sarebbe
linguistica ma sociopolitica, in quanto la presenza di dialetti, che
richiama l'esistenza di una lingua dominante, rifletterebbe la
stratificazione sociale all'interno di un territorio nazionale.
Childe sostiene che ci sia stato un rapporto di causa-effetto, tra la
nascita dell'alfabeto e delle lingue scritte, e le esigenze dei nuovi
ceti dominanti di registrare i loro privilegi in modo pubblico. Si
sarebbe così originato un nuovo tipo di società stratificata, e si
sarebbero poste le basi per una cultura elitaria separata da quella dei
produttori e degli artigiani.
La separazione lingua - dialetto risalirebbe all'età dei metalli, con la
formazione di questo tipo di società.
Nel Paleolitico, mesolitico e Neolitico le società erano, sempre secondo
C., egualitarie, quindi non ci sarebbe stata una differenziazione
lingua-dialetti, ma solo variazione geolinguistiche territoriali.
I più antichi documenti, che sono "lingua", sono scritti quindi elitari,
e questo presupporrebbe l'esistenza di dialetti anche se non ne abbiamo
documentazione.
Che cosa ne pensate?
Che il termine "dialetto" è già così sovraccarico di significati
contraddittori che non mi pare proprio il caso di aggiungerci pure questo.

La cosa che hai descritto, e cioè una differenziazione linguistica per
strati sociali, ha già un termine che le va a pennello: "socioletto".

--
Cingar


--------------------------------
Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
Enrico Olivetti
2006-09-20 01:19:49 UTC
Permalink
Post by Karla
Secondo alcuni autori (Alinei, Childe) la differenza non sarebbe
linguistica ma sociopolitica, in quanto la presenza di dialetti, che
richiama l'esistenza di una lingua dominante, rifletterebbe la
stratificazione sociale all'interno di un territorio nazionale.
Condivido quello che hai detto.
Io, molto più semplicisticamente, finora ho sempre detto che una lingua non è
altro che un dialetto con un esercito e una bandiera.
drago
2006-09-20 07:48:30 UTC
Permalink
Post by Enrico Olivetti
Io, molto più semplicisticamente, finora ho sempre detto che una lingua non è
altro che un dialetto con un esercito e una bandiera.
Arrivi almeno per II°, qualcuno ti ha preceduto ... ;-)))
Maurizio Pistone
2006-09-20 15:28:01 UTC
Permalink
Post by Enrico Olivetti
Io, molto più semplicisticamente, finora ho sempre detto che una lingua non è
altro che un dialetto con un esercito e una bandiera
almeno per l'occitano (intendo quello trovadorico) questa definizione
non funziona per niente.

A pensarci bene, neanche per il greco: fino ad Alessandro non è mai
esistito uno stato "greco" né un esercito "greco".

Belìn, e cosa dovremmo dire dell'ebraico?

Basta, meglio fermarsi qui.
--
Maurizio Pistone - Torino
strenua nos exercet inertia Hor.
http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
Enrico Olivetti
2006-09-20 15:40:04 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Post by Enrico Olivetti
Io, molto più semplicisticamente, finora ho sempre detto che una lingua non è
altro che un dialetto con un esercito e una bandiera
almeno per l'occitano (intendo quello trovadorico) questa definizione
non funziona per niente.
A pensarci bene, neanche per il greco: fino ad Alessandro non è mai
esistito uno stato "greco" né un esercito "greco".
Belìn, e cosa dovremmo dire dell'ebraico?
D'accordo, infatti io avevo detto "molto semplicisticamente"
Karla
2006-09-20 18:15:34 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Post by Enrico Olivetti
Io, molto più semplicisticamente, finora ho sempre detto che una lingua non è
altro che un dialetto con un esercito e una bandiera
almeno per l'occitano (intendo quello trovadorico) questa definizione
non funziona per niente.
A pensarci bene, neanche per il greco: fino ad Alessandro non è mai
esistito uno stato "greco" né un esercito "greco".
Belìn, e cosa dovremmo dire dell'ebraico?
Basta, meglio fermarsi qui.
Non so come siano nati i dialetti e le lingue all'inizio, però se
consideriamo trasformazione più recenti da dialetto a lingua nazionale,
vediamo che, se non sono i cannoni e le bandiere, sono il prestigio e il
potere economico a determinare il sopravvento di un dialetto rispetto
agli altri.
Così è capitato al fiorentino colto, che è diventato italiano per
queste ragioni.
Può esserci anche un prestigio letterario, ma non è determinante, in
altre regioni si scriveva in fiorentino ben prima di Dante, Petrarca e
Boccaccio.
Analogamente il dialetto del Ile de France si è imposto sull'occitano,
nonostante i trovatori, e il castigliano è diventato spagnolo

Oggi l'inglese è la lingua più studiata nel mondo per lo sviluppo
economico dell'Inghilterra e poi degli Stati Uniti, non perchè ci sia
stato Shakespeare.

k
Maurizio Pistone
2006-09-20 15:28:01 UTC
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Post by Karla
Bisognerebbe chiarire bene che cosa si intende per dialetto e lingua
è un po' come mettersi a discutere quanti capelli ha in testa un calvo
Post by Karla
Secondo alcuni autori (Alinei, Childe) la differenza non sarebbe
linguistica ma sociopolitica, in quanto la presenza di dialetti, che
richiama l'esistenza di una lingua dominante, rifletterebbe la
stratificazione sociale all'interno di un territorio nazionale.
almeno per quanto riguarda la lingua greca, è stato messo in dubbio che
l'alfabeto sia nato per esigenze amminsitrative o giuridiche
--
Maurizio Pistone - Torino
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Cingar
2006-09-20 18:01:24 UTC
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Post by Maurizio Pistone
[...]
Post by Karla
Secondo alcuni autori (Alinei, Childe) la differenza non sarebbe
linguistica ma sociopolitica, in quanto la presenza di dialetti, che
richiama l'esistenza di una lingua dominante, rifletterebbe la
stratificazione sociale all'interno di un territorio nazionale.
almeno per quanto riguarda la lingua greca, è stato messo in dubbio che
l'alfabeto sia nato per esigenze amminsitrative o giuridiche
Mi sfugge il nesso fra l'alfabeto e quanto diceva Carla.

Comunque, l'alfabeto in Grecia non ci è "nato", ci è immigrato dal Libano.

--
Cingar
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Maurizio Pistone
2006-09-20 18:32:31 UTC
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Post by Cingar
Post by Maurizio Pistone
almeno per quanto riguarda la lingua greca, è stato messo in dubbio che
l'alfabeto sia nato per esigenze amminsitrative o giuridiche
Mi sfugge il nesso fra l'alfabeto e quanto diceva Carla.
voglio dire, che non è chiaro per quali motivi i Greci si sono messi a
scrivere; in ogni caso, che ciò sia avvenuto per esprimere o rafforzare
il potere delle classi dominanti, è da vedere
Post by Cingar
Comunque, l'alfabeto in Grecia non ci è "nato", ci è immigrato dal Libano.
siamo d'accordo, ma data la diversità delle lingue le trasformazioni
sono state di così vasta portata da poter parlare di una vera
"invenzione"
--
Maurizio Pistone - Torino
strenua nos exercet inertia Hor.
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Cingar
2006-09-21 17:39:27 UTC
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Post by Maurizio Pistone
[...]
siamo d'accordo, ma data la diversità delle lingue le trasformazioni
sono state di così vasta portata da poter parlare di una vera
"invenzione"
Hhmm... Vediamo in maggior dettaglio la così vasta portata di queste
trasformazioni:

1) I greci hanno semplificato e reso obbligatoria la pratica semitica delle
"matres lectionis". Le matres lectionis sono lettere consonantiche usate
occasionalmente per rappresentare vocali: aleph (per /a/, /o/, /e/), he (per
/e/ o /a/), waw (per /u/), yodh (per /i/), ayin (per /o/, /a/).

2) I greci hanno eliminato qualche lettera ridondante, ma solo dopo averla
conservata inutilmente per secoli. (In realtà non proprio inutilmente: le
lettere avevano anche un valore numerico, ed eliminarne una avrebbe
significato ritrovarsi senza il simbolo per questa o quella unità o decina.)

3) I greci hanno inventato qualche lettera nuova, in genere introducendo
leggere varianti delle lettere esistenti (come l'omega, che è un omicron
sottolineato).

4) I greci hanno fissato il senso della scrittura da sinistra a destra, dopo
svariati *millenni* di indecisione.

Con tutte le cose che la civiltà greca ha inventato davvero, non vedo la
ragione di ostinarsi nella favola che abbiano inventato l'alfabeto che loro
stessi chiamavano "scrittura fenicia".

--
Cingar


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Maurizio Pistone
2006-09-21 21:36:29 UTC
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Post by Cingar
Con tutte le cose che la civiltà greca ha inventato davvero, non vedo la
ragione di ostinarsi nella favola che abbiano inventato l'alfabeto che loro
stessi chiamavano "scrittura fenicia".
sono d'accordo con quello che hai detto, allora riformulo, per
ricollegarmi alla discussione che ha avviato il trèd.

I Greci hanno preso dai Fenici gran parte dei segni alfabetici, e nella
maggior parte dei casi li hanno usati per esprimere suoni simili, se non
proprio identici, a quelli delle lingue semitiche.

In ogni caso, la portata della trasformazione è stata tale che nel
notare la loro lingua hanno dovuto inventarsi da capo un'ortografia. Non
avendo avuto dei modelli utilizzabili, essendo l lingue semitiche
completamente diverse dalla lingua greca, la soluzione più semplice era
quella di affidarsi ad una trascrizione almeno approssimativamente
fonetica delle parole. In una parola: se avevano un segno per il suono
E, un segno per il suono A, un segno per il suono I, non si capisce come
mai avrebbero dovuto scrivere AI quando pronunciavano E, e così via. Gli
scostamenti tra grafia e pronuncia, che verifichiamo nella maggior parte
delle lingue storiche, sono dovuti al peso di una tradizione, che ha
fissato la scrittura in epoche più o meno remote, e poi l'ha mantenuta
anche quando la pronuncia è cambiata. Così i Romani prima avevano il
dittongo AI, poi l'hanno trasformato in AE, ad un certo punto hanno
continuato a scrivere AE anche quando pronunciavano E; e gli inglesi
continuano a scrivere light night knight, segnando delle consonanti
proprie delle lingue germaniche che hanno abbandonato da secoli.

In una parola: in greco, fino a prova contraria, almeno fino all'inizio
dell'età classica, è da ritenere che ad ogni lettera corrispondesse
(approssimativamente) un suono, e viceversa. Magari non sono esattamente
i suoni della pronuncia erasmiana; ma per sostenere che chiamassero la
madre mitìr, il ragazzo pès, e la casa ìcos (o ècos, chissà perché)
occorrerebbero delle prove un po' più solide di quelle che finora ho
avuto occasione di leggere.
--
Maurizio Pistone - Torino
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Giovanni Drogo
2006-09-21 09:54:41 UTC
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Post by Cingar
A me quest'idea dell'intercomprensione non ha mai convinto molto.
certo va preso "cum grano salis" e messo insieme a qualche modo di
valutare (preferibilmente in modo quantitativo) le similarita'
lessicali, fonetiche e grammaticali.

Pensavo ad analogie con il concetto di specie in biologia, dove c'e' la
questione della interfertilita' (vecchia e facile da vedere), la moderna
genetica o la "banale" morfologia (per un fossile si puo' usare solo
quella e a volte le classificazioni dei paleontologi non coincidono con
quella degli zoologi o botanici che lavorano sul vivente) ... e c'e'
anche la convergenza (pesci ittiosauri e cetacei si assomigliano ma non
sono imparentati).
Post by Cingar
Può avere una certa utilità empirica per un antropologo che deve
raccapezzarsi nell'incredibile varietà linguistica dell'Amazzonia o della
Nuova Caledonia ma, applicata alla situazione linguistica delle aree dove
Ho sentito parlare di misure di intercomprensione in quei contesti, ma
anche per i dialetti d'Italia nel documento che accompagna la carta del
Pellegrini (e che riflette una situazione di una Italia contadina con
paesi molto piu' isolati di adesso ... e forse anche parlanti meno
"sgamati" di quelli odierni a riconoscere una parlata "straniera")
Post by Cingar
esistono o sono esistiti grandi entità imperiali, il concetto è privo di
senso.
Beh qui entra quel fenomeno a-biologico proprio delle lingue che cita
anche il Cavalli Sforza, ossia le interazioni culturali ...
sostanzialmente una specie di "ereditarieta' dei caratteri acquisiti"
Post by Cingar
impegno: dovremmo dunque dire che francese, italiano, spagnolo, ecc. sono
tutti "dialetti" di un ipotetica lingua detta "romanzo"?
Era proprio quello che volevo evitare.

Mettiamo da parte completamente la distinzione "sociologizzante" tra
lingua e dialetto basata sull'avere una bandiera, una flotta o anche un
alfabeto o una letteratura ... se usassimo quella la proverbiale Nuova
Guinea, o le lingue amerindie, o quelle bantu sarebbero tutti dialetti.

Volevo affermare che se si ritiene che francese, italiano, spagnolo,
catalano sono lingue, o che sardo e friulano o romancio sono lingue,
anche il "toscano", il "lombardo occidentale" e il "lombardo orientale"
sono lingue (che hanno avuto evoluzioni autonome dal latino, non che
siano "versioni degradate dell'italiano").

Mentre forse bresciano e bergamasco sono varianti del "lombardo
orientale", o sicuramente il bergamasco di Martinengo e quello di Romano
(a pochi km ma che mi dicono essere assai diversi) sono varianti del
bergamasco. Varianti = dialetti


Era un po' di tempo (sono le riflessioni da metropolitana) p.es. che
riflettevo sulla apparente minor regolarita' delle desinenze
dell'infinito in milanese rispetto all'italiano o al latino.

Poi ieri sera ho dato un'occhiata alla grammatica del Nicoli e mi sono
reso conto che c'e' sotto in realta' una regolarita' che mostra la
derivazione separata e autonoma dal latino

In latino c'erano 4 coniugazioni : I in -are, II in -ere e lunga, III in
-ere e breve, IV in -ire.

In italiano si sono ridotte a tre (-are -ere -ire) con la coalescenza
della II e della III latina, piu' le note variazioni (-ponere->-porre,
-ducere->-durre, -trahere->-trarre)

In milanese si sono mantenute le 4 coniugazioni : I in -a', II in -e',
IV in -i' ... e III in consonante (scrivere scrif, piovere pioeuf,
cuocere coeus) piu' le varianti (ponn du' tra').

Altri casi di divergenza che saltano all'occhio. L'italiano ha la stessa
forma per l'indicativo II persona plurale e l'imperativo II persona
plurale (parliamo !), il milanese no (parlom e parlemm !).

Oppure ancora il milanese ha la negazione posposta (va no, va minga).
Post by Cingar
Post by Giovanni Drogo
[....]
Devo dire che questo meccanismo mi ha sempre affascinato pur non
comprendendolo.
Nessuno lo comprende al 100%, perché la deriva linguistica avviene troppo
lentamente per poterne avere un'esperienza diretta significativa.
Beh anche la speciazione biologica, l'orogenesi in geologia,
l'evoluzione stellare o la formazione delle galassie (per non parlare
della cosmologia) avvengono lentamente, ma cio' non impedisce che si
possano modellarle, o misurarle (in astrofisica p.es. e' comune misurare
il tempo che un oggetto sta in una data fase dalla frequenza relativa di
oggetti di quel tipo che si osservano, assumendo una sequenza evolutiva)
Post by Cingar
Post by Giovanni Drogo
Cio' che non capisco e' perche' a un certo punto
qualcuno (una singola persona, l'equivalente della mutazione di un
singolo locus su un cromosoma) debba decidere di variare una pronuncia o
un uso in modo spontaneo
Be', sarai stato anche tu adolescente, no? Anche tu, come tutti, avrai un
Credo di essere nato e rimasto un vecchio-bambino :-)
Post by Cingar
È il famoso "linguaggio dei giovani", di cui puntualmente ogni anno si
stupiscono i rotocalchi tipo Panorama o Espresso, sentendo l'irrefrenabile
Sinceramente speravo in una spiegazione piu' seria e soprattutto
"quantitativa".

Posso capire i fenomeni per cui mi dicono il francese del Quebec sia
piu' arcaico di quello di Francia (isolamento - anche se non e' chiaro
perche' vi siano state velocita' evolutive diverse e non semplicemente
una divergenza - ma cose analoghe capitano in biologia), o quelli per
cui putacaso le lingue romanze derivate dal latino abbiano ...
divergiuto ? diverso ? divertito ? in base al substrato delle
preesistenti lingue locali.

Cosi' pure i fenomeni di interazioni e prestiti tra lingue adiacenti o
imposte (colonizzazioni, imperi, lingue liturgiche). Questi fenomeni
saranno tanto piu' importanti oggi con la grande facilita' di
comunicazione e telecomunicazione.

Ma perche' e come a un certo punto c'e' stato il vowel shift degli
inglesi, o la Lautverschiebung dei tedeschi (entrambe cose di cui ho
sempre sentito dire ma di cui non so praticamente nulla), o la
variazione del francese che una volta si parlava come si scrive (mentre
l'italiano non e' variato), o i mutamenti fonetici e soprattutto
grammaticali (abbandono dei casi o della forma passiva senza ausiliare)
tra latino e lingue romanze.

Come puo' una variazione uscita fuori un giorno dal tignone di uno
Zavargna qualsiasi essere stata applicata con regolarita' a tutti i casi
simili ed essere stata accettata da altri ed essersi propagata
(soprattutto questo, considerando il maggior isolamento degli
insediamenti di un tempo).
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Karla
2006-09-21 15:38:19 UTC
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Post by Giovanni Drogo
Post by Cingar
impegno: dovremmo dunque dire che francese, italiano, spagnolo, ecc. sono
tutti "dialetti" di un ipotetica lingua detta "romanzo"?
Era proprio quello che volevo evitare.
Mettiamo da parte completamente la distinzione "sociologizzante" tra
lingua e dialetto basata sull'avere una bandiera, una flotta o anche un
alfabeto o una letteratura ... se usassimo quella la proverbiale Nuova
Guinea, o le lingue amerindie, o quelle bantu sarebbero tutti dialetti.
Volevo affermare che se si ritiene che francese, italiano, spagnolo,
catalano sono lingue, o che sardo e friulano o romancio sono lingue,
anche il "toscano", il "lombardo occidentale" e il "lombardo orientale"
sono lingue (che hanno avuto evoluzioni autonome dal latino, non che
siano "versioni degradate dell'italiano").
Credo che nessuna "parlata" regionale o locale italiana sia versione
degradata dell'italiano. Al massimo una evoluzione del latino, o meglio
del latino e della "parlata" preesistente alla conquista romana, più
tutte le influenze successive.

Non credo abbia senso, da un punto di vista linguistico, chiamare
"lingua" il sardo o il friulano e "dialetti" il piemontese, il lombardo
o il siciliano.
Quanto alle varianti locali, partiamo dalla variante del paese (talvolta
anche dalla frazione), e via via passiamo ad aree sempre più grandi che
possono corrispondere (ma spesso non corrispondono affatto) alle
provincie, alle regioni (parlata normalizzata regionale = lingua
regionale?), fino alla "parlata" nazionale (lingua italiana).

Se vogliamo sottolineare la contrapposizione tra "lingua" e "dialetto"
(e tra un dialetto regionale o locale e una lingua nazionale delle
differenze ci sono!) dovremmo prima di tutto definire bene i due termini.

Alinei, per indicare un sistema linguistico a livello astratto,
indipendentemente dalla connotazione sociale, o di cui si ignori se sia
lingua o dialetto, lo chiama "linguema", e per poter identificare
l'aspetto geolinguistico usa "geovariante", "geovariazione" e "variante
territoriale".

k
Enrico Olivetti
2006-09-21 17:11:04 UTC
Permalink
Post by Karla
Credo che nessuna "parlata" regionale o locale italiana sia versione
degradata dell'italiano. Al massimo una evoluzione del latino, o meglio
del latino e della "parlata" preesistente alla conquista romana, più
tutte le influenze successive.
Se vogliamo sottolineare la contrapposizione tra "lingua" e "dialetto"
(e tra un dialetto regionale o locale e una lingua nazionale delle
differenze ci sono!) dovremmo prima di tutto definire bene i due termini.
Beh, non sempre è così.
Alcune parlate hanno una koiné altre no.
Per il lombardo esiste il lombardo occidentale e quello orientale, per il
piemontese abbiamo una vasta koiné. Ma se tu guardi anche solo all'Emilia
troverai invece un variare della aprlata locale in un continuum senza che vi sia
una koiné.
Forse qui potrebbe delinearsi la differenza tra lingua e dialetto.
O no?
Karla
2006-09-21 15:40:25 UTC
Permalink
Post by Giovanni Drogo
Poi ieri sera ho dato un'occhiata alla grammatica del Nicoli e mi sono
reso conto che c'e' sotto in realta' una regolarita' che mostra la
derivazione separata e autonoma dal latino
In latino c'erano 4 coniugazioni : I in -are, II in -ere e lunga, III in
-ere e breve, IV in -ire.
In italiano si sono ridotte a tre (-are -ere -ire) con la coalescenza
della II e della III latina, piu' le note variazioni (-ponere->-porre,
-ducere->-durre, -trahere->-trarre)
In milanese si sono mantenute le 4 coniugazioni : I in -a', II in -e',
IV in -i' ... e III in consonante (scrivere scrif, piovere pioeuf,
cuocere coeus) piu' le varianti (ponn du' tra').
Il piemontese e il genovese si comportano allo stesso modo e
diversamente dall'italiano.

latino milanese piemont. genov.

1) -are parlà parlé parlâ

2) -e-re avè avej avéi

3) -e(re scrív scrive scrive

4) -ire finì finì finî
Post by Giovanni Drogo
Altri casi di divergenza che saltano all'occhio. L'italiano ha la stessa
forma per l'indicativo II persona plurale e l'imperativo II persona
plurale (parliamo !), il milanese no (parlom e parlemm !).
Qui no: piem: parloma; genov.: parlemo, indicativo e imperativo.
Post by Giovanni Drogo
Oppure ancora il milanese ha la negazione posposta (va no, va minga).
Pemontese: a va nen, come il milanese, gen.: a no va.
Giovanni Drogo
2006-09-21 16:39:23 UTC
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Post by Karla
latino milanese piemont. genov.
1) -are parlà parlé parlâ
2) -e-re avè avej avéi
3) -e(re scrív scrive scrive
4) -ire finì finì finî
grazie della info ... ma forse la scelta di "avere" come esempio della
II coniugazione non e' ottimale (come ausiliare, non tende ad essere un
po' peculiare ?)
--
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Karla
2006-09-22 18:16:27 UTC
Permalink
Post by Giovanni Drogo
Post by Karla
latino milanese piemont. genov.
1) -are parlà parlé parlâ
2) -e-re avè avej avéi
3) -e(re scrív scrive scrive
4) -ire finì finì finî
grazie della info ... ma forse la scelta di "avere" come esempio della
II coniugazione non e' ottimale (come ausiliare, non tende ad essere un
po' peculiare ?)
"Piacere" va bene? Piasè - piasej - piaxei :-)

Aggiungo che, in piem., per la 3° "scrive", ci sono varianti in -i:
scrivi, lesi, vivi ecc.

k
Ps. -e-re, -e(re, sono errori della gamma caratteri, io avevo inserito
"e" con accento lungo e breve.
ADPUF
2006-09-26 22:12:43 UTC
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Post by Karla
Post by Giovanni Drogo
Post by Karla
latino milanese piemont. genov.
1) -are parlà parlé parlâ
2) -e-re avè avej avéi
3) -e(re scrív scrive scrive
4) -ire finì finì finî
grazie della info ... ma forse la scelta di "avere" come esempio della
II coniugazione non e' ottimale (come ausiliare, non tende ad essere
un po' peculiare ?)
"Piacere" va bene? Piasè - piasej - piaxei :-)
scrivi, lesi, vivi ecc.
k
Ps. -e-re, -e(re, sono errori della gamma caratteri, io avevo inserito
"e" con accento lungo e breve.
furlan:

fevelâ
plasê
scrìvi
finî
--
º¿º
Cingar
2006-09-21 17:15:05 UTC
Permalink
Post by Karla
[...]
Post by Giovanni Drogo
In latino c'erano 4 coniugazioni : I in -are, II in -ere e lunga, III in
-ere e breve, IV in -ire.
In italiano si sono ridotte a tre (-are -ere -ire) con la coalescenza
della II e della III latina, piu' le note variazioni (-ponere->-porre,
-ducere->-durre, -trahere->-trarre)
In milanese si sono mantenute le 4 coniugazioni : I in -a', II in -e',
IV in -i' ... e III in consonante (scrivere scrif, piovere pioeuf,
cuocere coeus) piu' le varianti (ponn du' tra').
Il piemontese e il genovese si comportano allo stesso modo e
diversamente dall'italiano.
latino milanese piemont. genov.
1) -are parlà parlé parlâ
2) -e-re avè avej avéi
3) -e(re scrív scrive scrive
4) -ire finì finì finî
Per me vi stata facendo trarre in inganno dalla ben nota avarizia di accenti
dell'ortografia italiana.

Gli infiniti della 2ª e della 3ª coniugazioni latine sono perfettamente
distinti anche in italiano: i primi hanno l'accento sulla desinenza
("av-ére"), mentre i secondi ce l'hanno sulla radice ("scrìv-ere"). Questa
differenza di accentuazione è conseguenza diretta della lunghezza della
vocale tematica "e" dell'infinito latino.

Lo stesso vale per tutte le altre parlate d'Italia (es., siciliano "av-ìri"
vs. "scrìv-iri") e della Francia settentrionale ("av-oir" /av-wa/ vs.
"écri-re" /ekri-r/, dall'antico francese "av-éir" vs. "escrì(v)-(e)re":
normale la dittongazione di una "e" lunga accentata e la sparizione di una
"e" atona che segue la sillaba accentata). Solo i dialetti iberici e
occitani hanno fuso le due declinazioni.

Tutti i dialetti dell'italia settentrionale e molti dell'Italia centro
settentrionale hanno poi perso la sillaba "re" finale. L'antico lombardo
doveva avere delle forme pressoché identiche a quelle degli odierni toscano
meridionale e napoletano: "av-é" e "scrìv-e", con perdita della sillaba
finale "re".

Quando sono cascate le vocali atone finali diverse da /a/, "scrìve" è
diventato l'odierno "scriv" (/skrif/), rendendo la differenza fra 2ª e 3ª un
po' più vistosa, specie nella forma scritta.
Post by Karla
Post by Giovanni Drogo
Oppure ancora il milanese ha la negazione posposta (va no, va minga).
Pemontese: a va nen, come il milanese, gen.: a no va.
Italiano: "Va mica", "Va punto", "Va sega", "Va ncacchio". :-)

--
Cingar


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Maurizio Pistone
2006-09-21 21:36:29 UTC
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Post by Cingar
Italiano: "Va mica", "Va punto", "Va sega", "Va ncacchio". :-)
queste non sono negazioni, ma rafforzativi, come il fr. pas; la forma
completa è "non va mica" ecc., poi il rafforzativo (come affatto, mai
ecc.) ha assorbito la negazione.
--
Maurizio Pistone - Torino
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Karla
2006-09-22 18:24:50 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Cingar
Italiano: "Va mica", "Va punto", "Va sega", "Va ncacchio". :-)
queste non sono negazioni, ma rafforzativi, come il fr. pas; la forma
completa è "non va mica" ecc., poi il rafforzativo (come affatto, mai
ecc.) ha assorbito la negazione.
Anche nel francese colloquiale il "pas", rafforzativo, viene sempre
più spesso usato da solo, senza il "ne".

Invece in piemontese, "a va nen" il nen è negazione principale, e credo
sia così anche per il milanese "va no".

k
Giovanni Drogo
2006-09-22 07:26:38 UTC
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Post by Cingar
Post by Giovanni Drogo
In latino c'erano 4 coniugazioni : I in -are, II in -ere e lunga, III in
-ere e breve, IV in -ire.
In italiano si sono ridotte a tre (-are -ere -ire) con la coalescenza
della II e della III latina,
In milanese si sono mantenute le 4 coniugazioni : I in -a', II in -e',
IV in -i' ... e III in consonante
Per me vi stata facendo trarre in inganno dalla ben nota avarizia di accenti
dell'ortografia italiana.
Gli infiniti della 2ª e della 3ª coniugazioni latine sono perfettamente
Io mi limitavo a riportare un fatto classificatorio-formale. La
grammatica che le "maestrine" mi insegnarono in quarta elementare per
l'italiano aveva 3 coniugazioni -are -ere -ire. Quella che le
"professoresse" mi insegnarono per il latino in seconda media ne aveva
4. Quella che la grammatica milanese del Nicoli riporta ne ha 4.

Ovviamente l'ennesimo residuo vestigiale delle 4 coniugazioni latine
rimane anche in italiano, ma assai meno evidente che in milanese e negli
altri "dialetti" citati.
--
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Cingar
2006-09-22 10:59:08 UTC
Permalink
Post by Giovanni Drogo
[...]
Post by Cingar
Gli infiniti della 2ª e della 3ª coniugazioni latine sono perfettamente
Io mi limitavo a riportare un fatto classificatorio-formale. La
grammatica che le "maestrine" mi insegnarono in quarta elementare per
l'italiano aveva 3 coniugazioni -are -ere -ire. Quella che le
"professoresse" mi insegnarono per il latino in seconda media ne aveva
4. Quella che la grammatica milanese del Nicoli riporta ne ha 4.
Be', non dimentichiamo che stiamo parlando del numero di coniugazioni
*regolari*, e che quali verbi siano regolari e quali irregolari è una
scelta arbitraria.

Per esempio, l'autore di una grammatica italiana potrebbe decidere che
val la pena di trattare i verbi con l'infinito in "-arre", "-orre",
"-urre" come coniuguazioni regolari a sé, anziché elencarli varianti
irregolari della coniugazione in "-ere", ed ecco che d'incanto
l'italiano avrebbe 6 coniugazioni.

Comunque, da un punto di vista didattico, le maestrine non avevano
tutti i torti: se non consideri l'infinito (che tanto in italiano è la
forma scelta come lemma, cioè la forma da cui si parte per coniugare
un verbo), la 3ª e 4ª coniugazione latina sono uguali in italiano,
per cui i ragazzini se la possono cavare imparando solo 3 paradigmi.

Ma lo stesso vale anche per il milanese: se definisci le coniugazione
milanese come "1ª, verbi con l'infinito in -à; 2ª, verbi con
l'infinito in -é o in consonante; 3ª, verbi con l'infinito in -ì"
anche in milanese basta dare tre paradigmi regolari.

Si vede che codesto Nicoli ha calcolato che a nessuno interessa
veramente "studiare" la grammatica di una lingua vernacolare come il
milanese, e che dunque non c'era troppo da preoccuparsi della
concisione.
Post by Giovanni Drogo
Ovviamente l'ennesimo residuo vestigiale delle 4 coniugazioni latine
rimane anche in italiano, ma assai meno evidente che in milanese e negli
altri "dialetti" citati.
Concordo, tranne che per quell'"assai".

--
Cingar
Giovanni Drogo
2006-09-25 10:10:26 UTC
Permalink
Post by Cingar
Post by Giovanni Drogo
Io mi limitavo a riportare un fatto classificatorio-formale. La
grammatica che le "maestrine" mi insegnarono in quarta elementare per
l'italiano aveva 3 coniugazioni -are -ere -ire. Quella che le
"professoresse" mi insegnarono per il latino in seconda media ne aveva
4. Quella che la grammatica milanese del Nicoli riporta ne ha 4.
Per esempio, l'autore di una grammatica italiana potrebbe decidere che
val la pena di trattare i verbi con l'infinito in "-arre", "-orre",
"-urre" come coniuguazioni regolari a sé, anziché elencarli varianti
irregolari della coniugazione in "-ere", ed ecco che d'incanto
l'italiano avrebbe 6 coniugazioni.
Ma di solito non lo fanno, applicando il rasoio di Occam. Lo stesso
Nicoli cita esplicitamente quei casi sia nella forma italiana che in
quella milanese.

Inoltre uno schema di pochi casi con varianti e' piu' facile da
memorizzare (sto pensando a come ci presentava le declinazioni il mio
insegnante di russo). Purche' le varianti siano in frequenza rare.
Post by Cingar
Ma lo stesso vale anche per il milanese: se definisci le coniugazione
milanese come "1ª, verbi con l'infinito in -à; 2ª, verbi con
l'infinito in -é o in consonante; 3ª, verbi con l'infinito in -ì"
anche in milanese basta dare tre paradigmi regolari.
presentare due alternative sulla desinenza dell'infinito, che per
abitudine sono un elemento chiave, e' piu' semplice ... quindi mi
sembrano giustificate le 4 coniugazioni.
Post by Cingar
Si vede che codesto Nicoli ha calcolato che a nessuno interessa
veramente "studiare" la grammatica di una lingua vernacolare come il
milanese, e che dunque non c'era troppo da preoccuparsi della
concisione.
Mi pare un manuale di grammatica ben fatto, ricco di esempi, direi al
meglio della tradizione "scolastica" (non "universitaria")
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blopper
2006-09-19 13:37:35 UTC
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Post by Cingar
Non ho capito bene quale di queste pronunce caldeggi Blopper, ma ho
l'impressione che ne abbia in mente una quarta, perché ha parlato del
dittongo <oi> pronunciato [e]: una pronuncia che non è mai esistita in
nessuna fase della storia del greco. <oi> anticamente si pronunciava
[oi] (e così si pronuncia nella pronunce ricostruita ed erasmiana),
mentre in greco moderno si legge [i].
L'evoluzione che ha portato da [oi] (scritto <oe> in latino) allo [e]
che si trova nella pronuncia italiana di grecismi come "ecologia" o
"enologia" è completamente estranea al greco.
ecco, adesso ho capito
però vi confesso: quanto m'irritava, a scuola, dover dire 'oinos' sapendo
che da lì deriva 'eno-' o 'paidos' sapendo della derivazione 'pedo-' !
e quando le cose irritano, per forza che uno le studia per forza!
(con tutto che sono ancora un appassionato cultore di lingue)
grazie a tutti per le spiegazioni

bye
blopper
Ered Luin
2006-09-19 17:16:28 UTC
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Post by Cingar
Le possibili pronunce scolastiche mi
1) Pronuncia arcaica come ricostruita dai linguisti, nella quale per
esempio "phókaina" si legge "pHóócaina". È la più fedele alla
pronuncia antica e ha diversi vantaggi, last but not least quello di
semplificare la comprensione e la memorizzazione della grafia. [...]
Non ho capito bene quale di queste pronunce caldeggi Blopper, ma ho
l'impressione che ne abbia in mente una quarta, perché ha parlato del
dittongo <oi> pronunciato [e]: una pronuncia che non è mai esistita in
nessuna fase della storia del greco. <oi> anticamente si pronunciava
[oi] (e così si pronuncia nella pronunce ricostruita ed erasmiana),
mentre in greco moderno si legge [i].
L'evoluzione che ha portato da [oi] (scritto <oe> in latino) allo [e]
che si trova nella pronuncia italiana di grecismi come "ecologia" o
"enologia" è completamente estranea al greco.
Anch'io non capivo bene.

A parte le aspirate, comunque suoni difficili da rendere per i non
madre-lingua, e senza nemmeno sapere bene come davvero suonassero ( ho il
sospetto con le -ph- e le -th- ci siavvicinino i fiorentini, mentre per
il -kh- gli unici vicini siano i catanzaresi :-) , mi risulta infatti che
l'unico vero errore nella pronuncia scolastica usata in occidente sia il
dittongo -oy- da pronunciare correttamente "óo" invece dell'invalso "u", e
il dittongo "ei" da pronunciare "ée" invece dell'invalso "ei" (tranne qaundo
è vero dittongo).

Il passaggio "oe">"e" dall'originale greco "oi" è invece avvenuto tutto
internamente al latino, più o meno tardo.

Lo dimostra anzi il latino "tragoedia" (pronunciato forse già da Cicerone
"traghédia") da originale greco "trogoidía" (pronuncia scolastica europea:
"trogodía").
Una tale traslitterazione latina implica che all'epoca del passaggio a Roma
di tale termine (V secolo a.C?) il dittongo "oi" fosse pronunziato in greco
ancora non-assimilato.


E.L.
Maurizio Pistone
2006-09-19 20:15:42 UTC
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Post by Ered Luin
il
dittongo -oy- da pronunciare correttamente "óo" invece dell'invalso "u"
e la y come la pronunceresti: u o ü?
--
Maurizio Pistone - Torino
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Ered Luin
2006-09-19 21:52:06 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Ered Luin
il
dittongo -oy- da pronunciare correttamente "óo" invece dell'invalso "u"
e la y come la pronunceresti: u o ü?
Bella domanda: non lo so.
Conosci delle teorie in merito?

E.L.
Maurizio Pistone
2006-09-20 15:28:02 UTC
Permalink
Post by Ered Luin
Post by Maurizio Pistone
Post by Ered Luin
il
dittongo -oy- da pronunciare correttamente "óo" invece dell'invalso "u"
e la y come la pronunceresti: u o ü?
Bella domanda: non lo so.
Conosci delle teorie in merito?
non so nulla. Ho il vago sospetto che l'evoluzione ó > u sia parallela
ad u > ü.

Non chiedermi però di portare prove in proposito.
--
Maurizio Pistone - Torino
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drago
2006-09-19 09:59:57 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Il latino in quanto tale non aveva dialetti, era la lingua di una ristretta
parte del Lazio e come tale non era differenziato in dialetti locali.
Certo che il latino parlato dai Celti sarà stato diverso da quello dei Romani,
ma è come l'inglese che parlo io, che è molto differente da quello di Oxford,
non per per questo può essere classificato come un dialetto dell'inglese.
In ogni caso la produzione letteraria che ci è giunta è aabbastanza omogenea.
Virgilio, mantovano non scriveva in una lingua diversa di quella di Cicerone.
È probabile che nelle discussioni circensi che si svolgevano al thermopolium si
parlasse diverso è probabile, ma nulla ci è giunto.
Alcune note:
-- Sia i testi di indoeuropeistica sia quelli di romanistica parlano almeno del "falisco".
-- ci sono state tramandate le discussioni sulla "rusticitas" ;
-- gli antichi dicevano che riuscivano a vedere la "patavinitas" di Livio (C. Tagliavini, "Origini")
-- ci è giunta una infinità di informazioni, sia dalle scritte di Pompei, sia dalle iscrizioni ( es.: "DEVS MAGNV OCLV ABET"), sia dall'Appendix Probi, etc...

Ciao,
Bepe
Maurizio Pistone
2006-09-19 20:15:43 UTC
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Post by drago
falisco
sarebbe questo qui:

FOIED VINO PIPAFO CRA CAREFO ?

Ma è una variante del latino, o un'altra lingua?
--
Maurizio Pistone - Torino
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Ered Luin
2006-09-19 21:53:43 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by drago
falisco
FOIED VINO PIPAFO CRA CAREFO ?
Qui "F" sta per il digamma e "V" per l'equivalente del "suono medio" latino?
drago
2006-09-20 07:46:48 UTC
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Post by Ered Luin
Post by Maurizio Pistone
Post by drago
falisco
FOIED VINO PIPAFO CRA CAREFO ?
Ma è una variante del latino, o un'altra lingua?
Qui "F" sta per il digamma e "V" per l'equivalente del "suono medio" latino?
Mi sembra proprio che una delle iscrizioni citate per il falisco sia quella. Ce n'é una molto più lunga, conosciuta come "iscrizione dei cuochi falisci" o qualcosa del genere.

Il falisco viene trattato nei testi di indoeuropeistica all'interno del capitolo "latino". Veniva parlato e scritto in almeno una metà del piccolo territorio latino dei primi secoli. Poi il latino parlato a Roma lo inglobò. Era comunque molto vicino al latino arcaico dei primi secoli, mentre ambedue appaiono abbastanza diversi dal Lat Class.

No, "F" sta proprio per "F". Se ricordo bene, ma potrei prendere una cantonata megagalattica, "FOIED" sta per "HODIE".

Bepe
Maurizio Pistone
2006-09-20 15:28:02 UTC
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Post by Maurizio Pistone
FOIED VINO PIPAFO CRA CAREFO
http://tinyurl.com/mkvth
--
Maurizio Pistone - Torino
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http://www.lacabalesta.it
drago
2006-09-21 07:09:40 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Maurizio Pistone
FOIED VINO PIPAFO CRA CAREFO
http://tinyurl.com/mkvth
Sono andato a riprendere il testo dei Ramat, dove l'iscrizione "FOIED UINO PIPAFO CRA CAREFO" è trascodificata in L.C. come "HODIE VINUM BIBAM, CRAS CAREBO".
E' riportata anche una pagina di "differenze fonetiche regolari", tra cui l'utilizzo proprio della "F" al posto della "H" iniziale, esempio "Fercles" per "Hercles".
C'è però anche il fenomeno opposto, ad esempio "HILEO" per "FILIO" e "HABA" per "FABA".

Sembra che il latino fosse differenziato anche ai tempi di Numa Pompilio ;-)

Mi sto chiedendo se la "D" finale di "FOIED" sia la marca dell'ablativo arcaico, ma non ho trovato niente al riguardo. Secondo voi?

Bepe
Ered Luin
2006-09-19 16:56:53 UTC
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Post by Enrico Olivetti
Paradossalmente la pronuncia del greco, nei vari sistemi scolastici
europei, è più uniforme di quella del latino.
Sono abbastanza d'accordo.
Evidentemente perché la (ri)diffusione del greco in occidente è andata di
pari passo con gli studi filologico-scientifici e semprea questi è rimasta
steeattamente legata, mentre il latino non ha mai smesso di essere
utilizzato anche per numerosissimi scopi non-filologici e per i quali la
filologia era l'ultimo degli interessi.

E.L.
Maurizio Pistone
2006-09-18 20:22:48 UTC
Permalink
Post by blopper
perché diavolo si usa ancora la pronuncia ecc. ecc. invece di darsi una
svecchiata?
cosa c'è che non va nella pronuncia erasmiana?

Se quella non va bene, quale usare?
--
Maurizio Pistone - Torino
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http://www.lacabalesta.it
Ered Luin
2006-09-18 21:11:25 UTC
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Post by blopper
mi sapreste spiegare perché non si fanno pronunciare 'e' i digrammi 'ai' e
'oi'?
almeno, ai miei tempi era così
es: diaitia invece di dietia, paidos invece di pedos, oicos invece di ecos
ecc.
Questo mi ricorda che il "phi" non andrebbe letto "fi" ma "p+h" (e
analogamente il "theta" e il "chi").

Mi domando se le note, caratteristiche aspirate dei dialetti calabresi
centro-meridionali (penso in particolare al catanzarese) possano avere
questa remota origine.

E.L.
Newser
2006-11-20 18:10:39 UTC
Permalink
dove hai studiato? in Grecia? ;-)
Post by blopper
mi sapreste spiegare perché non si fanno pronunciare 'e' i digrammi 'ai' e
'oi'?
almeno, ai miei tempi era così
es: diaitia invece di dietia, paidos invece di pedos, oicos invece di ecos
ecc.
grazie
Blopper
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