Discussione:
sillabazione di <mitte>
(troppo vecchio per rispondere)
Davide Pioggia
2015-07-11 16:22:11 UTC
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Per gli amici tedeschi, germanologi e germanofili.

Posto che la pronuncia di <mitte> è ['mIt@], con la vocale breve [I],
voi come la dividereste in sillabe?

Non mi riferisco qui, alle norme ortografiche, ma a quel che suggerisce,
intuitivamente, il vostro orecchio.

Vi sembra più convincente [mI-t@] o [mIt-@] ?

E se invece prendiamo <Miete>, cioè [mi:t@], con la vocale lunga [i:]?

Vi sembra più convincente [mi:-t@] o [mi:t-@]?

Grazie per l'attenzione!
D.
Stefan Ram
2015-07-11 17:49:21 UTC
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Post by Davide Pioggia
voi come la dividereste in sillabe?
Non mi riferisco qui, alle norme ortografiche, ma a quel che suggerisce,
intuitivamente, il vostro orecchio.
In tedesco, a fin di riga, si scrive: Mit-
te (usando grafo-sillabe).
Mie-
te.

/mi:.t@/
Davide Pioggia
2015-07-12 11:44:12 UTC
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Post by Stefan Ram
In tedesco, a fin di riga, si scrive: Mit-
te (usando grafo-sillabe).
Grazie Stefan.

Sto leggendo alcuni articoli nei quali si sotiene che una vocale breve in
tedesco non può trovarsi in una vera e propria sillaba aperta.

Alcuni studiosi sostengono che la consonante che viene dopo la vocale breve
è "ambisillabica", cioè appartiene ad entrambe le sillabe, per cui non si
potrebbe scrivere né [mI-t@] né [mIt-@].

Viene poi citato un saggio di André Martinet (che non ho ancora avuto modo
di consultare, ma mi toccherà leggerlo) nel quale egli sostiene che la prima
sillaba di parole come <Kämmen> è «incontestabilmente chiusa», e propone la
trascrizione [kEm-@n]

Tieni presente, poi, che questo tipo di suddivisione è ampiamente accolta
per altre lingue che presentano vocali brevi davanti a consonante seguita
da vocale.

Ad esempio sono molti i linguisti che sillabano l'inglese <city> come
[sIt-i], e questa sillabazione è accolta anche da molti dizionari:
http://dictionary.cambridge.org/dictionary/english-italian/city

Volevo cercare di capire se questa percezione è stata in qualche misura
accolta anche da linguisti tedeschi. Ti è mai capitato di leggere qualcosa
in proposito?
--
Saluti.
D.
*GB*
2015-07-12 13:49:12 UTC
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Post by Davide Pioggia
Alcuni studiosi sostengono che la consonante che viene dopo la vocale breve
è "ambisillabica", cioè appartiene ad entrambe le sillabe, per cui non si
Viene poi citato un saggio di André Martinet (che non ho ancora avuto modo
di consultare, ma mi toccherà leggerlo) nel quale egli sostiene che la prima
sillaba di parole come <Kämmen> è «incontestabilmente chiusa», e propone la
Basta con la fantalinguistica. Come si divide in sillabe in tedesco
sta scritto (in italiano) nel riferimento che ti ho dato nell'altro Ng
dove hai fatto la segnalazione di questo thread. Lo riporto pure qui:

http://users.unimi.it/dililefi/Di%20Venosa/dispense%20e%20avvisi/Dispensa%20I%2006-07.pdf


Bye,

*GB*
Stefan Ram
2015-07-12 15:07:05 UTC
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Post by Davide Pioggia
Sto leggendo alcuni articoli nei quali si sotiene che una vocale breve in
tedesco non può trovarsi in una vera e propria sillaba aperta.
Nella parola tedesca »hatte« (forma flessa di »haben«), la
sillaba »te« è sì aperta ma la pronuncia di »e« è breve.
Post by Davide Pioggia
Alcuni studiosi sostengono che la consonante che viene dopo la vocale breve
è "ambisillabica", cioè appartiene ad entrambe le sillabe, per cui non si
Secondo me, le frontiere sillabiche sono convenzionale, non
sono necessariamente un' immagine fedele di una realtà della
lingua.

In tedesco, per quanto ne so io, in questo campo, si usa
raramente il concetto della «apertura di una sillaba», ma
invece si osserva se c'è una /consonante raddoppiata/ in un
lessema.

Un vocale davanti ad una consonante radoppiata in un lessema
è sempre breve. Per esempio, »a« in »hatte«.
Post by Davide Pioggia
Volevo cercare di capire se questa percezione è stata in qualche misura
accolta anche da linguisti tedeschi. Ti è mai capitato di leggere qualcosa
in proposito?
Sfortunatamente non ho una panoramica sulla letteratura
linguistica. Se mi ricordo bene, di solito, si evita questa
discussione sulle frontiere sillabice impiegando questo
criterio delle consonanti raddoppiate. Citando una fonte del
web (modificandolo leggermente):

»Ein Stammvokal, dem zwei Konsonanten folgen, ist kurz
zu sprechen.«

«Una vocale del tema (della radice), a cui seguono due
consonanti, viene pronunciata breve.»
ADPUF
2015-07-12 19:12:00 UTC
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Post by Stefan Ram
In tedesco, per quanto ne so io, in questo campo, si usa
raramente il concetto della «apertura di una sillaba», ma
invece si osserva se c'è una /consonante raddoppiata/ in un
lessema.
Un vocale davanti ad una consonante radoppiata in un
lessema è sempre breve. Per esempio, »a« in »hatte«.
[...]
Post by Stefan Ram
»Ein Stammvokal, dem zwei Konsonanten folgen, ist kurz
zu sprechen.«
«Una vocale del tema (della radice), a cui seguono due
consonanti, viene pronunciata breve.»
Ma a me questa sembra una regola per la scrittura, non per la
divisione in sillabe.

Cioè si parte dal parlato e si trascrive con quella regola.

Sarebbe strano il contrario: si parte da una scrittura e si
adegua il parlato ad essa.


Come ci si regola nel "tedesco non scritto" ossia nelle varietà
dialettali?
--
AIOE ³¿³
Stefan Ram
2015-07-12 19:53:33 UTC
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Post by ADPUF
Post by Stefan Ram
«Una vocale del tema (della radice), a cui seguono due
consonanti, viene pronunciata breve.»
divisione in sillabe.
Sarebbe strano il contrario: si parte da una scrittura e si
adegua il parlato ad essa.
Questa regola è destinata proprio per questo strano:
per sapere come pronunciare una parola scritta.
Post by ADPUF
Come ci si regola nel "tedesco non scritto" ossia nelle varietà
dialettali?
È possibile che ci siano tale regole, ma io non me ne sono accorto.
Davide Pioggia
2015-07-12 21:20:55 UTC
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Post by Stefan Ram
«Una vocale del tema (della radice), a cui seguono due
consonanti, viene pronunciata breve.»
Se hai voglia, leggi questo articolo a p. 131:
http://core.ac.uk/download/pdf/11176502.pdf

Spiega che ci sono alcune lingue germaniche, e anche alcuni dialetti
tedeschi (il bavarese), in cui una vocale breve è sempre seguita da una
consonante lunga.

Io non so come si è formata, storicamente, la grafia del tedesco, ma ho
pensato che forse nei secoli scorsi anche il tedesco aveva questa
caratteristica, per cui la vostra grafia da questo punto di vista sarebbe
etimologica, conservando le antiche consonanti lunghe dopo le brevi.

Tu hai mai letto qualcosa sullo sviluppo della grafia del tedesco?

C'è anche un'altra possibilità, che si coglie tenendo presente che in alcune
lingue che hanno le vocali brevi e lunghe c'è la tendenza ad allungare la
consonante che viene dopo una vocale breve. È un allungamento contenuto,
assai variabile, ma c'è. Anche alcuni dialetti emiliano-romagnoli hanno
questa caratteristica. Nell'articolo citato se ne parla a p. 132, verso la
fine. Ebbene l'articolo cita una ricerca di Fischer-Jørgensen &
Jørgensen (1969) dalla quale risulterebbe che anche nel tedesco
settentrionale le consonanti dopo le vocali brevi sono tendenzialmente
un po' più lunghe.

Qui da noi alcuni autori che scrivono in modo intuitivo per questa ragione
sono indotti a scrivere delle consonanti doppie dopo le vocali brevi. Come
dicevo, quelle consonanti sono solo un po' allungate, e per giunta in modo
variabille, ma alcuni sentono il bisogno di raddoppiarle, e quando si
trovano queste doppie di solito basta per sapere che la vocale precedente
è breve. Infatti facendo le interviste si trova la conferma.

Anche la grafia del tedesco potrebbe essersi formata in questo modo. Voglio
dire che forse nei secoli scorsi questa tendenza ad allungare le consonanti
dopo le brevi era ancora stabile, e i tedeschi che cercavano di scrivere la
propria lingua sentivano il bisogno di esprimere graficamente questo fatto.

C'è poi un'ultima possibilità, che pure si manifesta in alcuni autori di qui
che scrivono in modo intuitivo. Mi riferisco al fatto che a volte
l'allungamento della consonante non è oggettivo, ma è solo un'impressione,
dovuta probabilmente alla lunghezza relativa della vocale e della consonante
successiva: la consonante ha comunque la stessa lunghezza, ma quando viene
dopo una vocale breve sembra più lunga. Anche in questi casi alcuni autori
tendono a raddoppiare graficamente la consonante dopo una breve.

Sarei curioso di capire come hanno fatto i tuoi antenati a elaborare la
grafia del tedesco. In fondo sarebbe bastato introdurre un apposito
diacritico per distinguere le vocali brevi da quelle lunghe. Invece hanno
utilizzato il raddoppiamento della consonante dopo la breve, come fanno
molti autori delle mie parti. Non credo che sia una cosa puramente casuale,
no?
--
Saluti.
D.
Stefan Ram
2015-07-14 00:26:16 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Tu hai mai letto qualcosa sullo sviluppo della grafia del tedesco?
...
Post by Davide Pioggia
molti autori delle mie parti. Non credo che sia una cosa puramente casuale,
no?
Non posso rispondere immediatamente,
ma forse potrò rispondere fra alcuni
giorni.
Davide Pioggia
2015-07-14 10:58:49 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
Non posso rispondere immediatamente,
ma forse potrò rispondere fra alcuni
giorni.
Grazie Stefan, prenditi pure tutto il tempo che vuoi.
--
Saluti.
D.
Valerio Vanni
2015-07-13 12:34:58 UTC
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On Sun, 12 Jul 2015 13:44:12 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Tieni presente, poi, che questo tipo di suddivisione è ampiamente accolta
per altre lingue che presentano vocali brevi davanti a consonante seguita
da vocale.
Ad esempio sono molti i linguisti che sillabano l'inglese <city> come
http://dictionary.cambridge.org/dictionary/english-italian/city
A me questa sillabazione pare controintuitiva, suggerisce uno stacco
tra la consonante e la vocale che segue, e un'adesione a quella che
precede.
Il mio orecchio, per lo meno, mi dice che la consonante ha un legame
molto più forte con la vocale che segue.
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
*GB*
2015-07-13 12:47:46 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Post by Davide Pioggia
Ad esempio sono molti i linguisti che sillabano l'inglese <city> come
http://dictionary.cambridge.org/dictionary/english-italian/city
A me questa sillabazione pare controintuitiva, suggerisce uno stacco
tra la consonante e la vocale che segue, e un'adesione a quella che
precede.
Il mio orecchio, per lo meno, mi dice che la consonante ha un legame
molto più forte con la vocale che segue.
Il Pioggia ha dato un riferimento che spiega il motivo di quella
stramberia anglosassone: in tedesco avrebbero scritto "citty"
per evidenziare che la vocale è breve e quindi la consonante
viene considerata ambisillabica. Vedi alle pagg. 136-139 di:

http://core.ac.uk/download/pdf/11176502.pdf

Bye,

*GB*
ADPUF
2015-07-13 16:49:55 UTC
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Post by *GB*
Post by Valerio Vanni
Post by Davide Pioggia
Ad esempio sono molti i linguisti che sillabano l'inglese
<city> come [sIt-i]
A me questa sillabazione pare controintuitiva, suggerisce
uno stacco tra la consonante e la vocale che segue, e
un'adesione a quella che precede.
Il mio orecchio, per lo meno, mi dice che la consonante ha
un legame molto più forte con la vocale che segue.
Il Pioggia ha dato un riferimento che spiega il motivo di
quella stramberia anglosassone: in tedesco avrebbero scritto
"citty" per evidenziare che la vocale è breve e quindi la
consonante viene considerata ambisillabica.
Ah sarebbe interessante un convertitore di parole inglesi ma
scritte in grafia tedesca.

Pauer, näschön, futtboll ... o qualcosa del genere.
--
AIOE ³¿³
*GB*
2015-07-14 08:42:22 UTC
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Post by ADPUF
Post by *GB*
Il Pioggia ha dato un riferimento che spiega il motivo di
quella stramberia anglosassone: in tedesco avrebbero scritto
"citty" per evidenziare che la vocale è breve e quindi la
consonante viene considerata ambisillabica.
Ah sarebbe interessante un convertitore di parole inglesi ma
scritte in grafia tedesca.
Non sto scherzando: il motivo della sillabazione ortografica tedesca
del tipo "cit-ty" è quello che, quando sei a fine riga, vedi subito
che la "i" è breve/aperta e ti prepari ad articolare la "t", così puoi
già pronunciare la sillaba prima ancora di avere spostato l'occhio
all'inizio della riga sottostante. Se invece sillabifichi "ci-ty",
o pronunci la "i" lunga/chiusa oppure ti tocca interromperti finché
non hai letto l'inizio della riga seguente. Tutto ciò non significa
che la "t" venga effettivamente pronunciata attaccata alla vocale
precedente, ma solo che ti prepari ad articolarla.

Un anglosassone avrebbe potuto risolvere usando segni diacritici
per la quantità/dittongazione, ma siccome gli anglosassoni sono
allergici alle cacografie di tipo ceco o ungherese, hanno scelto
di anticipare la "t" alla sillaba in fine riga: "cit-", così possono
pronunciarla giusta anche prima di aver letto la riga successiva.
Analogamente, "citation" /saI'***@n/ lo staccano "ci-tation".

Bye,

*GB*
Davide Pioggia
2015-07-13 18:40:15 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
A me questa sillabazione pare controintuitiva, suggerisce uno stacco
tra la consonante e la vocale che segue, e un'adesione a quella che
precede.
Il mio orecchio, per lo meno, mi dice che la consonante ha un legame
molto più forte con la vocale che segue.
Ricorderai forse che quando ci siamo visti a Marradi abbiamo scoperto che
una buona parte dei tuoi concittadini avrebbe scritto delle doppie dopo le
vocali brevi.

Ora non discutiamo se questa sia solo una senzazione o se corrisponda
effettivamente a un allungamento, e lasciami scrivere il marradese
"alla tedesca". Secondo questo criterio, «diritto» si scrive <drétt>.

Osserviamo che quella <t> non può essere veramente doppia, ma al più
allungata. Dunque non può essere <drét-t>. E osserviamo anche che deve
appartenere per forza alla sillaba che ha <é> come nucleo, per cui non può
essere <dré-tt>. Abbiamo una bella sillaba con un nucleo sillabico e la coda
costituita da una consonante che quanto meno dà l'impressione d'essere
allungata, senza per questo essere doppia. Dunque la sillaba coincide con la
parola: <drétt>.

Prendiamo ora il femminile singolare, il quale ha la desinenza <-a>:
<drétta>.

Ora, se è vero che quella consonante (forse) allungata sta nella stessa
sillaba della <a> finale, bisogna che il femminile abbia un confine
sillabico diverso dal maschile: <dré-tta>.

Domanda: secondo te se uno sta dicendo <drétta> e qualcuno lo interrompe,
facendolo fermare a <drétt>, c'è qualcosa di oggettivo, in quella parola
interrotta, che ci consente di dire che quello dev'essere il femminile, e
non il maschile?

In altri termini, se ti dico che il femminile differisce dal maschile solo e
unicamente per l'aggiunta della <a> finale, tu sei d'accordo?

Se sei d'accordo, allora non può esserci nessuna differenza oggettiva "lì in
mezzo" fra la <é> e la <t>. Quindi sei costretto ad ammettere che la
sillabazione del femminile è <drétt-a>.

A meno che tu non voglia sostenere che il confine sillabico viene sì
collocato dalla nostra percezione fra due segmenti, ma in realtà questo è un
effetto illusorio, un po' come le immagini virtuali dell'ottica, per cui
ciò che è oggettivo non sta "lì in mezzo", ma è una proprietà che appartiene
in generale a più sillabe contigue. Nessuno ci vieta di avanzare un'ipotesi
di questo tipo, ma questo ci costringe a ripensare profondamente il concetto
di confine sillabico.

Un'altra possibilità è quella di affermare che è proprio il concetto di
confine sillabico ad essere illusorio, e che esso non ha alcuna
corrispondenza nella realtà oggettiva. Ma allora, se abbiamo una parola come
«mano», è del tutto indifferente sillabare «ma-no» o «man-o»?
--
Saluti.
D.
Valerio Vanni
2015-07-14 12:19:52 UTC
Permalink
On Mon, 13 Jul 2015 20:40:15 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Ricorderai forse che quando ci siamo visti a Marradi abbiamo scoperto che
una buona parte dei tuoi concittadini avrebbe scritto delle doppie dopo le
vocali brevi.
Ora non discutiamo se questa sia solo una senzazione o se corrisponda
effettivamente a un allungamento, e lasciami scrivere il marradese
"alla tedesca". Secondo questo criterio, «diritto» si scrive <drétt>.
Concordo.
Post by Davide Pioggia
Osserviamo che quella <t> non può essere veramente doppia, ma al più
allungata. Dunque non può essere <drét-t>. E osserviamo anche che deve
appartenere per forza alla sillaba che ha <é> come nucleo, per cui non può
essere <dré-tt>. Abbiamo una bella sillaba con un nucleo sillabico e la coda
costituita da una consonante che quanto meno dà l'impressione d'essere
allungata, senza per questo essere doppia. Dunque la sillaba coincide con la
parola: <drétt>.
Anche qui, concordo.
Se partiamo dal principio che per essere "vera doppia" debba essere
ripartita in due sillabe.
Post by Davide Pioggia
<drétta>.
Ora, se è vero che quella consonante (forse) allungata sta nella stessa
sillaba della <a> finale, bisogna che il femminile abbia un confine
sillabico diverso dal maschile: <dré-tta>.
Qui abbiamo un secondo nucleo sillabico, la situazione cambia.
Post by Davide Pioggia
Domanda: secondo te se uno sta dicendo <drétta> e qualcuno lo interrompe,
facendolo fermare a <drétt>, c'è qualcosa di oggettivo, in quella parola
interrotta, che ci consente di dire che quello dev'essere il femminile, e
non il maschile?
Dipende da dove lo fermi. A dire il vero, non so se ci sia la stessa e
identica durata di [t]. Nel secondo caso, però, c'è una piccola parte
di [t] attaccata alla [a] che segue: è quella che, secondo me, viene
resa male da "t-a".
Non so la durata esatta, quindi non so se questa piccola parte sia
aggiunta o rubata.

Tagliando (fino a un certo punto) gli italiani "dritto" e "dritta",
potremmo dire lo stesso. "dritt-o" e "dritt-a", ma non renderemmo
giustizia a quella piccola parte di [t] che si attacca alla vocale
successiva.
Post by Davide Pioggia
In altri termini, se ti dico che il femminile differisce dal maschile solo e
unicamente per l'aggiunta della <a> finale, tu sei d'accordo?
Solo a un livello di astrazione maggiore, non so se definirlo
fonematico o altro.
Quello su cui non sono d'accordo è che una certa durata di una
consonante debba per forza essere "sempre la stessa cosa a livello
sillabico, a prescindere da quello che c'è al contorno".

Il tuo discorso, se non ho capito male, è:
a) In "drétt" non c'è un nucleo sillabico finale, quindi la [t] è [t:]
e non [t-t].
b) In "drétta" si aggiunge questa [a] alla fine.
c) Se [t] è [t:] in (a), allora è [t:] anche in (b).

Stai sillabando (b) in base ad (a), scavalcando la presenza in (b) di
un altro nucleo sillabico che è invece secondo me un fattore
fondamentale.

Non mi pare neanche la semplice durata il fattore più importante.
Prendiamo una [m], che ha un suono continuo così eliminiamo
complicazioni specifiche su rilascio udibile / non udibile /
vocalizzato etc.

It. "gomme" - rom "gòmm": Se anche pronungo la [m] fino a fare una
tripla, rimane allungata perché c'è un solo nucleo sillabico.
It. "gomma" - rom "gòmma": se anche la durata complessiva di [m] è più
corta che in un "gomma" italiano, rimane un po' di [m] di qua e un po'
di [m] di là.
Post by Davide Pioggia
Un'altra possibilità è quella di affermare che è proprio il concetto di
confine sillabico ad essere illusorio, e che esso non ha alcuna
corrispondenza nella realtà oggettiva. Ma allora, se abbiamo una parola come
«mano», è del tutto indifferente sillabare «ma-no» o «man-o»?
Non è indifferente... ma me sembra che sia drétt-a simile a man-o.
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
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