On Mon, 13 Jul 2015 20:40:15 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide PioggiaRicorderai forse che quando ci siamo visti a Marradi abbiamo scoperto che
una buona parte dei tuoi concittadini avrebbe scritto delle doppie dopo le
vocali brevi.
Ora non discutiamo se questa sia solo una senzazione o se corrisponda
effettivamente a un allungamento, e lasciami scrivere il marradese
"alla tedesca". Secondo questo criterio, «diritto» si scrive <drétt>.
Concordo.
Post by Davide PioggiaOsserviamo che quella <t> non può essere veramente doppia, ma al più
allungata. Dunque non può essere <drét-t>. E osserviamo anche che deve
appartenere per forza alla sillaba che ha <é> come nucleo, per cui non può
essere <dré-tt>. Abbiamo una bella sillaba con un nucleo sillabico e la coda
costituita da una consonante che quanto meno dà l'impressione d'essere
allungata, senza per questo essere doppia. Dunque la sillaba coincide con la
parola: <drétt>.
Anche qui, concordo.
Se partiamo dal principio che per essere "vera doppia" debba essere
ripartita in due sillabe.
Post by Davide Pioggia<drétta>.
Ora, se è vero che quella consonante (forse) allungata sta nella stessa
sillaba della <a> finale, bisogna che il femminile abbia un confine
sillabico diverso dal maschile: <dré-tta>.
Qui abbiamo un secondo nucleo sillabico, la situazione cambia.
Post by Davide PioggiaDomanda: secondo te se uno sta dicendo <drétta> e qualcuno lo interrompe,
facendolo fermare a <drétt>, c'è qualcosa di oggettivo, in quella parola
interrotta, che ci consente di dire che quello dev'essere il femminile, e
non il maschile?
Dipende da dove lo fermi. A dire il vero, non so se ci sia la stessa e
identica durata di [t]. Nel secondo caso, però, c'è una piccola parte
di [t] attaccata alla [a] che segue: è quella che, secondo me, viene
resa male da "t-a".
Non so la durata esatta, quindi non so se questa piccola parte sia
aggiunta o rubata.
Tagliando (fino a un certo punto) gli italiani "dritto" e "dritta",
potremmo dire lo stesso. "dritt-o" e "dritt-a", ma non renderemmo
giustizia a quella piccola parte di [t] che si attacca alla vocale
successiva.
Post by Davide PioggiaIn altri termini, se ti dico che il femminile differisce dal maschile solo e
unicamente per l'aggiunta della <a> finale, tu sei d'accordo?
Solo a un livello di astrazione maggiore, non so se definirlo
fonematico o altro.
Quello su cui non sono d'accordo è che una certa durata di una
consonante debba per forza essere "sempre la stessa cosa a livello
sillabico, a prescindere da quello che c'è al contorno".
Il tuo discorso, se non ho capito male, è:
a) In "drétt" non c'è un nucleo sillabico finale, quindi la [t] è [t:]
e non [t-t].
b) In "drétta" si aggiunge questa [a] alla fine.
c) Se [t] è [t:] in (a), allora è [t:] anche in (b).
Stai sillabando (b) in base ad (a), scavalcando la presenza in (b) di
un altro nucleo sillabico che è invece secondo me un fattore
fondamentale.
Non mi pare neanche la semplice durata il fattore più importante.
Prendiamo una [m], che ha un suono continuo così eliminiamo
complicazioni specifiche su rilascio udibile / non udibile /
vocalizzato etc.
It. "gomme" - rom "gòmm": Se anche pronungo la [m] fino a fare una
tripla, rimane allungata perché c'è un solo nucleo sillabico.
It. "gomma" - rom "gòmma": se anche la durata complessiva di [m] è più
corta che in un "gomma" italiano, rimane un po' di [m] di qua e un po'
di [m] di là.
Post by Davide PioggiaUn'altra possibilità è quella di affermare che è proprio il concetto di
confine sillabico ad essere illusorio, e che esso non ha alcuna
corrispondenza nella realtà oggettiva. Ma allora, se abbiamo una parola come
«mano», è del tutto indifferente sillabare «ma-no» o «man-o»?
Non è indifferente... ma me sembra che sia drétt-a simile a man-o.
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Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.